Gli artt. 21-quinquies e 21-nonies, l. n. 241/90, hanno conferito dignità positiva all’autotutela decisoria nella duplice forma della revoca e dell’annullamento d’ufficio. In particolar modo, in sede di conversione del decreto legge, 12 settembre 2014, n. 133 c.d. “Decreto Sblocca Italia”, il Parlamento ha introdotto alcune importanti modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo. Le novità sulle quali occorre soffermarsi in tale sede sono quelle che riguardano gli articoli appena citati.

L’art. 21-quinquies, rubricato “Revoca del provvedimento amministrativo”, così recita:


“1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti
negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.


Il provvedimento di revoca costituisce, come noto, una delle maggiori espressioni della c.d. discrezionalità amministrativa. Esso è attivabile a fronte di un generale ripensamento della scelta amministrativa cristallizzata in un precedente provvedimento, il quale, a distanza di tempo, pur continuando ad essere legittimo ha perso i requisiti dell’opportunità e dell’adeguatezza. Dunque la revoca è comunemente intesa come atto che incide su altro precedente provvedimento, caducandone con portata ex nunc l’efficacia.


Nel momento in cui il Legislatore ha previsto per la prima volta l’introduzione della disciplina di revoca, tale provvedimento aveva ampia portata, tant’è che arrivava a ricomprendere, tra i presupposti di esercitabilità, sia un’ampia nozione di sopravvenienza (ricomprendente motivi di interesse pubblico e circostanze di fatto), sia il c.d. ius poenitendi.

Ed invero, il “vecchio” dettato dell’art. 21-quinquies, l. n. 241/90, prevedeva testualmente che “per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero altro organo previsto dalla legge”.

A distanza di anni, il Legislatore ha ritenuto di restringere le maglie dell’esercitabilità dell’autotutela e, in particolare, dell’uso da parte dell’amministrazione del potere di revoca, modificando la disciplina di entrambi i presupposti enunciati dalla prima stesura dell’art. 21-quinquies, L. n. 241/90: la sopravvenienza e lo ius poenitendi. Infatti, precedentemente, la locuzione di sopravvenienza si ramificava in due distinte ipotesi: una, inclusiva di sopravvenuti motivi di interesse pubblico e, l‟altra, comprendente i casi di mutamento della situazione di fatto.

Il primo dei presupposti enunciati dalla norma è rimasto invariato, non essendo inciso dalla modifica apportata dalla l. n. 164/2014, per cui deve pacificamente ritenersi che l’amministrazione possa legittimamente revocare un proprio precedente atto, tutte le volte in cui ricorrano, in un momento successivo all’adozione dello stesso, motivi di pubblico interesse. Il recente intervento normativo ha invece modificato l’altro presupposto, ossia quello relativo al mutamento della situazione di fatto. Rispetto a tale elemento, la norma ha limitato la portata di fatti e circostanze sopravvenute, come presupposto logico-giuridico della revoca.

Infatti se precedentemente doveva considerarsi ammissibile la revoca a fronte del mutamento della
situazione di fatto tout court, ora è ammessa solo nel caso in cui tale mutamento non sia da considerarsi come prevedibile già al momento dell’adozione dell’atto da sottoporre a revisione. Il Legislatore ha quindi delimitato fortemente l’ambito di operatività per sopravvenute circostanze di fatto, escludendo pedissequamente il ricorso alla revoca nel caso in cui l’amministrazione avrebbe potuto, e quindi dovuto, prevedere l’avveramento di nuove, modificative, circostanze di fatto al momento dell’adozione dell’atto originario e cioè del primo provvedimento.

In questo quadro la posizione del privato appare indubbiamente rafforzata, ed invero il nuovo art. 21-quinquies lo garantisce dall’aleatorietà derivante dalla possibilità di una successiva revoca. Spetta dunque all’amministrazione farsi carico di valutare adeguatamente la situazione contingente anche in una prospettiva futura.

Parte delle considerazioni svolte fino ad ora, valgono anche per l’ulteriore modifica apportata con la legge n. 164/2014 e, cioè, quelle relative al requisito del c.d. ius poenitendi. Si tratta, in questo caso, della seconda parte del comma 1 dell’art. 21-quinquies, L. n. 241/90 concernente la revoca per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Infatti rimane invariato l’arco delle possibilità di rivalutazione dell’interesse originario, eccetto un’ipotesi specifica concernente i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Questo, ovviamente, al fine di meglio tutelare il terzo che, nelle more, avesse fruito, appunto, di vantaggi economici.


Ai sensi del “nuovo” art. 21-quinquies, L. n. 241/90, l’amministrazione è sempre abilitata a rivalutare l’interesse pubblico originario, ossia una rivalutazione da parte dell’amministrazione del medesimo interesse, definibile come ius poenitendi. Esso va inteso come la possibilità per la P.A., di disporre un nuovo assetto di interessi a fronte non di circostanze di fatto nuove o per motivi di interesse pubblico sopravvenuti, bensì in caso di una rivalutazione del medesimo interesse pubblico originario.

A tale ampiezza, vi è un’eccezione, costituita dall’impossibilità per l’amministrazione di procedere alla revoca di atti che siano di portata ampliativa per il destinatario, tra cui: i provvedimenti di autorizzazione e quelli di attribuzione di vantaggi economici. Da ciò è possibile ritenere che siano esclusi espressamente dal potere di revoca della P.A. per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, tutti gli atti con i quali l’amministrazione abbia apportato una modifica in senso ampliativo.

Da tale riforma, risulta evidente l’interesse del Legislatore a delimitare con maggiore chiarezza l’ambito di esercitabilità della revoca, al fine di offrire un’ampia tutela del privato. Inoltre occorre precisare che la legge n. 164/2014 ha lasciato invariati gli artt. 1 bis e ter dell’art. 21-quinquies, L. n. 241/90, secondo cui a seguito dell’esercizio del potere di autotutela della P. A., mediante la revoca, qualora questa incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati, ossia i soggetti passivi del provvedimento di revoca, sarà parametrato al solo danno emergente, escludendo in tal modo il relativo lucro cessante e tenendo conto dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico.

Con il contributo di Avv. Nicolina Fontana


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