A più di trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, nella regione del cosiddetto “Medio Oriente” permane una condizione di instabilità endemica in grado di innescare costanti tensioni. Il mondo arabo resta intricato in una notevole varietà di dilemmi e minacce che rendono ormai impellente la necessità di strategie integrate. Muovendo da un’ampia prospettiva storica, quest’area appare tuttora un mosaico euro-asiatico-africano in cerca di identità all’interno di un mondo sempre più globalizzato e lontano da una narrazione unidirezionale.
Sebbene ogni nazione che la compone abbia lineamenti diversi, sussistono connessioni millenarie risalenti a modelli produttivi complementari, legami commerciali e infrastrutturali, cicli economici comuni, e dinamiche internazionali condivise. Nondimeno, tematiche quali quelle afferenti al settarismo etno-religioso, alla violazione della tutela dei diritti umani, e alla polarizzazione geopolitica riaffiorano sistematicamente mettendo gravemente in discussione le sovranità nazionali e la natura delle relazioni internazionali nella regione. Sebbene una moltitudine di fattori sottostanti plasmi e indirizzi un preciso percorso di interdipendenza, il quadro regionale resta profondamente vulnerabile.
Lo sfondo politico ed economico ha generalmente riflesso governi autoritari – spesso passeggeri – a capo di popolazioni con una notevole capacità di sopportare e invertire ciclicamente crisi e ingerenze internazionali. Un paradigma che si è ripetuto nel tempo con poche eccezioni, laddove i leader nazionali governando in un clima predominante di insicurezza perseguivano e stabilizzavano il loro potere perlopiù adattandosi ad assetti geopolitici di natura economica. Più di ogni altro fenomeno, la “primavera araba” ha rimarcato questa postura regionale dimostrando come gran parte delle principali fonti di instabilità scaturisca da una condizione pervasiva di mancato sviluppo sostenibile e inclusivo.
Tensioni recenti su vasta scala hanno ribadito ancora una volta come processi diversamente governabili abbiano il potenziale sufficiente per innescare militarizzazione, frammentazione delle società ed emarginazione dei popoli in un’economia globale che non contempla più confini. Ricollocare un “nuovo Medio Oriente” attraverso una chiave di lettura critica, che reinterpreti dinamiche sistemiche e logiche implicite, potrebbe senza dubbio fornire un prezioso e rinnovato punto di vista per la risoluzione delle crisi in atto.
Con il contributo di Dott. Alfieri Alessandro