Il c.d. “Decreto Internazionalizzazione”1 (di seguito, “Decreto”) ha dato attuazione a taluni degli interventi previsti dalla legge delega fiscale2, revisionando tra le altre cose la normativa in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti3.
Con la circolare n. 20/E del 04.11.2024 sono quindi state fornite le istruzioni operative agli Uffici, per garantirne l’uniformità di azione, in merito alle novità introdotte dalle disposizioni del Decreto sopra citate. Si può notare come, per espressa previsione normativa 4, le nuove regole “si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2024”: pertanto, la nuova definizione di residenza vale per radicare la residenza fiscale italiana a partire dal periodo d’imposta 2024.
Per i periodi d’imposta fino al 2023 (compreso) resta invece applicabile la disciplina contenuta nel previgente art. 2, comma 2 del Tuir (inclusi i chiarimenti applicativi forniti dalla prassi dell’Agenzia
delle Entrate).
Ciò comporta ad esempio che, fino al 31.12.2023, per le persone che hanno mantenuto l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta, continua a operare la presunzione assoluta di residenza, con i temperamenti circa l’applicabilità delle c.d. “tie breaker rules” previste dalla Convenzioni internazionali.
Analogamente, quanti nel passato siano stati considerati residenti avendo integrato – sempre per la maggior parte del periodo d’imposta – il criterio del domicilio inteso nella previgente accezione civilistica:
mantengono la residenza in Italia fino al periodo d’imposta 2023, e
devono verificare, solo a partire dal 01.01.2024, se integrano la nuova nozione di domicilio (o altro criterio di cui alla nuova formulazione dell’art. 2, comma 2 del Tuir).
Si ricorda innanzitutto come l’art. 2 del TUIR stabilisca6 che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerino soggetti passivi le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, definendo poi la nozione di residenza fiscale.
Prima delle modifiche apportate dal Decreto, l’art. 2, comma 2 del Tuir, nella versione applicabile fino al 31.12.2023, considerava residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):
erano iscritte nell’anagrafe della popolazione residente;
avevano nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
avevano nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Le tre condizioni erano tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse consentiva di radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.
La circolare rileva che, sebbene l’art. 2 del Tuir disciplini la residenza a fini fiscali, le condizioni della residenza e del domicilio erano definite, per espressa previsione normativa, tramite rinvio alla disciplina contenuta nel codice civile: la disposizione del Tuir faceva, in particolare, rinvio all’art. 43 del c.c., che
definisce il domicilio come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre fa coincidere la residenza con il luogo di dimora abituale.
Il “Decreto Internazionalizzazione” ha però parzialmente modificato i previgenti criteri di collegamento e ha introdotto il criterio della presenza fisica nel territorio dello Stato.
L’evoluzione normativa dell’art. 2, comma 2 del Tuir è rappresentata nella seguente tabella (con in grassetto le modifiche introdotte):
L’art. 1 del Decreto ha sostituito il comma 2 dell’art. 2 del Tuir, introducendo una nuova definizione di residenza fiscale per le persone fisiche ai fini delle imposte sui redditi.
La nuova disposizione prevede che:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il
domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e
familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”
Come già precisato nella citata circolare n. 25/E/2023, l’accertamento dei presupposti per stabilire la residenza – diversi dal dato formale dell’iscrizione anagrafica – presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza nonché, dal 01.01.2024, la presenza fisica nel territorio dello Stato.
L’Agenzia delle Entrate conferma l’approccio già adottato nella previgente disposizione del Tuir, secondo cui la residenza fiscale delle persone fisiche si considera in Italia al ricorrere alternativo (sempre per la maggior parte del periodo d’imposta) di uno dei 4 criteri di collegamento indicati dalla norma.
La relazione illustrativa al Decreto conferma peraltro, ancora una volta in continuità con la previgente versione dell’art. 2, comma 2 del Tuir, che ai fini del computo della maggior parte del periodo d’imposta, si ha riguardo anche a periodi non consecutivi nel corso dell’anno, sommandoli, quindi, tra loro.
Pertanto, ai fini della residenza fiscale in Italia, non è necessario che i criteri di collegamento richiesti dalla norma ricorrano in modo continuativo ed ininterrotto: è sufficiente che si verifichino per 183 – o 184 in caso di anno bisestile – giorni nel corso di un anno solare.
Al riguardo l’Amministrazione finanziaria precisa che la novella non ha modificato il criterio di collegamento consistente nella configurazione della “residenza ai sensi del codice civile” nel territorio dello Stato, in relazione al quale restano validi i chiarimenti già forniti nella prassi di questa Agenzia 10 e
dalla giurisprudenza di legittimità. Quanto alla portata degli altri criteri di radicamento, il legislatore ha
apportato talune modifiche di rilievo che si analizzeranno.
Da notare che i chiarimenti che seguono – di derivazione amministrativa – attengono alla sola normativa italiana e prescindono dall’applicazione di una eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dal nostro Paese.
Il nuovo art. 2, comma 2 del Tuir, nel riproporre il criterio di radicamento della residenza basato sulla sussistenza del domicilio nel territorio dello Stato, ne fornisce una nuova e specifica definizione, secondo la quale:
“per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.”
La scelta operata dal legislatore privilegia le relazioni personali e familiari rispetto a quelle prettamente economiche, consentendo altresì di risolvere (a partire dal periodo d’imposta 2024) le incertezze venutesi a creare negli anni in virtù del rinvio nel previgente art. 2 del Tuir al domicilio civilistico.
Come chiarito nella relazione tecnica al Decreto:
“l’inserimento nel TUIR di una definizione specifica di domicilio ha l’obiettivo di ridurre l’ampio contenzioso tributario venutosi a creare negli ultimi anni in virtù del rinvio contenuto nel vigente articolo 2 del TUIR al domicilio civilistico.”
Nella nozione di “relazioni personali e familiari” l’Agenzia delle Entrate ritiene rientrino:
sia i rapporti tipici disciplinati dalle vigenti disposizioni normative, come ad esempio il rapporto di coniugio o il rapporto di unione civile;
sia le relazioni personali connotate da un carattere di stabilità che esprimono un radicamento con il territorio dello Stato, ad esempio nel caso di coppie conviventi).
Parimenti, secondo la circolare può assumere rilievo la dimensione stabile dei rapporti sociali del contribuente nella misura in cui risulti da elementi certi, come ad esempio l’iscrizione annuale a un circolo
culturale e sportivo. Nella medesima relazione illustrativa viene inoltre precisato che, con il Decreto, il legislatore ha sostituito:
“(…) il criterio civilistico del domicilio con un criterio di natura sostanziale, mutuato dalla prassi internazionale e dalle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in cui il domicilio è il luogo in cui si
sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari contribuente (…)”.
In definitiva, in base al rinvio alla prassi internazionale e alle Convenzioni contro le doppie imposizioni, viene fatto rimando, per le parti di rilevanza, al Commentario al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni (di seguito anche “Modello OCSE”). Al fine di valutare la configurazione del domicilio di una persona nel nostro Stato, occorre quindi operare una verifica che tenga conto delle circostanze sopra menzionate; non tralasciando, tuttavia, di considerare anche le condotte con le quali una persona manifesti con atti concreti la volontà di mantenere un legame effettivo con il territorio italiano.
Si tratta, evidentemente, di valutazioni da condurre caso per caso, sulla base di elementi fattuali, tenuto conto:
della varietà di fattispecie che possono concretamente verificarsi, e
della molteplicità degli elementi che, nelle differenti situazioni, possono essere presi in considerazione.
Va altresì tenuto conto che la crescente mobilità delle persone fisiche può rendere più complessa l’individuazione della residenza, laddove i medesimi criteri si verifichino in Stati differenti.
In virtù delle modifiche apportate dal legislatore con il Decreto, non risultano più applicabili, dall’anno d’imposta 2024, i chiarimenti resi, con riferimento al domicilio, nella circolare n. 25/E/2023, al paragrafo 1.1 – seppur gli stessi risultino ancora validi per i precedenti anni d’imposta.
Alla residenza civilistica, al domicilio e all’iscrizione anagrafica, il Decreto ha affiancato un nuovo e autonomo criterio di radicamento della residenza basato sulla presenza in Italia.
Si tratta di un criterio oggettivo, il quale richiede esclusivamente la presenza fisica di un soggetto nel territorio dello Stato italiano:
Le circostanze in cui può verificarsi il criterio in esame sono pertanto varie, ad esempio la persona fisica che trascorra in Italia la maggior parte del periodo d’imposta, anche se:
in modalità frazionata,
per vacanza, o
per motivi di studio, oppure
per far visita ad amici o parenti.
Può poi verificarsi il caso di chi viene a svolgere la propria attività lavorativa – sia essa di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa – nel territorio del nostro Stato, pur mantenendo la residenza (anche a fini anagrafici), la famiglia e ogni altro legame affettivo e personale all’estero.
In tali casi, come anticipato, ai fini del radicamento della residenza fiscale in Italia non sarà più necessario che il soggetto soddisfi il requisito della residenza civilistica o del domicilio o dell’iscrizione anagrafica: con le modifiche apportate dal Decreto, infatti, è considerata condizione sufficiente la semplice presenza fisica nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta.
Ciò premesso le Entrate osservano che, trattandosi di un dato meramente fattuale, la presenza fisica può essere riscontrata in base a elementi che attestano la materiale permanenza nel territorio dello
Stato, anche non continuativa, per un preciso numero di giorni o frazioni di giorno.
Nel caso in cui la presenza fisica risulti da una pluralità di dati fattuali, il contribuente potrà dimostrare, con documenti aventi eguale valenza probatoria, di avere effettivamente trascorso in Italia periodi che,
cumulativamente considerati, non consentono di raggiungere il limite minimo di permanenza nel nostro Paese per la configurazione della residenza in Italia.
A tale riguardo la circolare ribadisce che, come visto, in relazione al criterio della presenza fisica, ai fini del conteggio della permanenza nel territorio dello Stato rilevano anche le frazioni di giorno; nella relazione
illustrativa si precisa infatti che:
“La prova dell’assenza dei criteri che determinano la residenza nel territorio dello Stato potrà essere fornita dal contribuente dimostrando, rispettivamente, di non avere in Italia la residenza, il domicilio e di non essere stato fisicamente presente nel territorio dello Stato. La prova dell’insussistenza del requisito deve essere riferita a un numero di giorni complessivi superiore alla maggior parte del periodo d’imposta,
considerando anche le frazioni di giorno nel caso della presenza fisica.”
In merito alle modalità di calcolo, per stabilire se è integrato il presupposto della maggior parte del periodo d’imposta, occorre procedere a un riscontro puntuale. In particolare, ai fini del calcolo complessivo della presenza fisica nel territorio dello Stato, si tiene conto della permanenza entro i confini nazionali per una qualunque frazione di giorno.
Resta inteso che, per escludere la residenza in Italia, sono valutate particolari situazioni in cui la presenza sul territorio dello Stato è meramente temporanea od occasionale, come può ad esempio avvenire in ipotesi di scalo aereo nel territorio nazionale dovuto a una coincidenza per recarsi in un Paese estero.
Tenuto conto del crescente ricorso a modalità lavorative cosiddette “agili”, occorre esaminare gli effetti del criterio della presenza fisica di cui sopra:
sia in caso di lavoratori che prestano l’attività da remoto dall’Italia;
sia in caso di lavoratori che la rendono dall’estero.
Quanto alla prima categoria, il nuovo presupposto della presenza fisica in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta integra i tradizionali presupposti di radicamento della residenza (con i predetti temperamenti in tema di domicilio). A tale riguardo, gli esempi forniti al paragrafo 1.2 della citata circolare n. 25/E/2023 vanno coordinati con il criterio della presenza fisica introdotto dal legislatore delegato. In quest’ultimo documento di prassi la residenza fiscale nel nostro Stato del soggetto che svolge la prestazione lavorativa in modalità agile (c.d. “smartworking”) è stata ancorata alla configurazione in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, di almeno uno dei criteri di collegamento previsti dall’allora vigente art. 2, comma 2 del Tuir 13: analogo approccio è coerente
con la prassi amministrativa riferita ai criteri vigenti anteriormente all’emanazione del Decreto così come riportati in precedenza. Per effetto delle nuove norme, la permanenza in Italia del lavoratore in
smart working per 183 giorni (o 184, in caso di anno bisestile) determina, di per sé, la residenza fiscale nel nostro Paese. In proposito l’Agenzia evidenzia che, nel caso in cui il lavoratore in smart working abbia radicato la propria residenza fiscale nel territorio dello Stato, dovrà assoggettare a tassazione in Italia tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, e non solo quelli derivanti dalla propria attività lavorativa14. Ciò, però, fatta salva l’eventuale applicazione di disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che prevedano una diversa ripartizione della potestà impositiva tra il nostro Paese e l’altro Stato contraente in relazione agli specifici redditi prodotti dal contribuente.
Per quanto concerne, invece, la seconda categoria vista in precedenza (lavoratori in smart working dall’estero), resta inteso che integrano la residenza fiscale in Italia anche le persone fisiche che, pur lavorando in smart working da uno Stato estero, dove sono fisicamente presenti per 183 giorni l’anno – 184 giorni se anno bisestile – soddisfino per la maggior parte del periodo d’imposta almeno uno degli altri tre criteri di collegamento individuati dall’art. 2, comma 2 del Tuir, come modificato dal Decreto.
Essi devono dunque:
mantenere la loro residenza civilistica o il loro domicilio in Italia, ovvero
risultare iscritti nell’anagrafe della popolazione residente (su quest’ultimo criterio si veda il successivo paragrafo).
L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente continua a costituire uno dei criteri alternativi di radicamento della residenza fiscale in Italia, sebbene ne venga mitigata la valenza presuntiva a favore di un approccio sostanziale. Infatti, in base alla previgente disposizione di cui all’art. 2, comma 2 del Tuir, l’iscrizione anagrafica determinava una presunzione assoluta (fatta salva l’applicazione di eventuali accordi internazionali) che, tenuto conto dell’alternatività dei criteri di collegamento, non poteva essere confutata contestando l’assenza di dimora abituale o domicilio nel territorio dello Stato.
In ragione della prevalenza del diritto internazionale pattizio su quello interno, il dato formale dell’iscrizione anagrafica poteva essere, tuttavia, superato in applicazione delle richiamate “tie breaker rules” dettate da eventuali Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Paese di volta in volta interessato. Per effetto delle modifiche apportate dal Decreto, la nuova disposizione conferisce a tale criterio l’efficacia di presunzione relativa, lasciando al contribuente la possibilità di dimostrare che il dato formale è disatteso da una differente situazione fattuale: di conseguenza, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta continuano a essere considerate fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado di dimostrare che l’iscrizione anagrafica non corrisponde ad una residenza effettiva nello Stato italiano. A tale ultimo fine l’Agenzia ritiene che il contribuente debba essere in grado di provare, sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, che per la maggior parte del periodo d’imposta non si sia configurato nessuno dei criteri alternativi – diversi da quello anagrafico – previsti dall’art. 2, comma 2 del Tuir, ossia che non ha avuto in Italia né la residenza civilistica, né il domicilio e non è stato presente fisicamente nel territorio dello Stato.
Il Decreto non ha modificato il comma 2-bis dell’art. 2 del Tuir: anche a seguito della riforma, quindi, continua a trovare applicazione la presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia per i cittadini italiani “cancellati dalle anagrafi della popolazione residente” e trasferitisi in Stati o territori a regime
fiscale privilegiato15. La lista dei Paesi interessati dalla presunzione è stata da ultimo aggiornata dal D.M. del 20.07.2023 16, che ha eliminato la Svizzera dall’elenco con efficacia dal 01.01.2024 (si veda la CDG n. 197 del 07.09.2023). I cittadini italiani che si trovino nelle condizioni di cui al citato comma 2 bis, pertanto, si presumono fiscalmente residenti in Italia, a meno che non siano in grado di fornire la prova contraria.
Circa quest’ultimo aspetto si ricorda che, come è stato chiarito dalla circolare MEF n. 140 del 24.06.1999:
“soltanto la piena dimostrazione, da parte del contribuente, della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel paese fiscalmente privilegiato, indipendentemente dall’assolvimento nello stesso paese di obblighi fiscali, attestano il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non
residente.”
Come noto, l’ordinamento tributario italiano prevede degli specifici regimi agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia. Si tratta, ad esempio:
del regime17 che regolamenta l’“Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia”;
del regime18 che disciplina l’“Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi delle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera che trasferiscono la propria residenza fiscale nel Mezzogiorno”;
del regime19 che prevede il “Nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori rimpatriati” (CDG n. 13 del 18.01.2024).
Tali regimi, pur differendo per disciplina e platea di potenziali beneficiari, presentano in comune il requisito secondo cui i relativi destinatari non devono avere avuto in precedenza la residenza fiscale in Italia (per un determinato numero di periodi d’imposta). A tale riguardo l’Agenzia rileva che, come visto in precedenza, la nuova disciplina della residenza delle persone fisiche introdotta dal Decreto trova applicazione a partire dal periodo d’imposta 2024: pertanto il requisito della mancata residenza fiscale in Italia, propedeutico all’accesso ai tre regimi agevolativi di cui sopra, andrà valutato alla luce del nuovo art. 2, comma 2 del Tuir, solamente per i periodi d’imposta 2024 e successivi. Per i periodi d’imposta fino al 2023 (compreso), occorrerà invece fare riferimento ai criteri di radicamento della residenza individuati dal
previgente art. 2, comma 2 del Tuir, ivi inclusa la presunzione dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente che valeva a radicare la residenza fiscale in Italia. Tale ultimo criterio, che si è visto avere carattere di presunzione assoluta ai fini dei regimi di cui agli artt. 24-bis e 24-ter del TUIR, con riferimento al regime dei “nuovi impatriati” di cui all’art. 5 del Decreto è invece temperato dalla previsione contenuta nel comma 6 della disposizione da ultimo citata, secondo cui il contribuente che intende accedervi può dimostrare di non essere stato fiscalmente residente in Italia nei periodi oggetto di monitoraggio provando di aver:
“(…) avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi. (…) continua (…) a trovare applicazione nei confronti dei soggetti che hanno trasferito la loro residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 (…).”
Anche questi ultimi soggetti, infatti, possono accedere al regime speciale per lavoratori impatriati qualora abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per i periodi d’imposta richiesti dal citato art. 16. Si è anticipato come la nuova normativa interna debba essere coordinata con le disposizioni sulla residenza contenute nelle Convenzioni contro le doppie
imposizioni stipulate dall’Italia con i Paesi esteri. La prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, infatti, pacificamente riconosciuta in ambito tributario, oltre che essere stata affermata dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. Rileva, in particolare, per quanto attiene alle persone fisiche, l’art. 4 del Modello di Convenzione OCSE, sostanzialmente mutuato dalle Convenzioni stipulate dall’Italia: il paragrafo 1 del citato art. 4 individua la residenza fiscale ai fini convenzionali rimandando alla definizione adottata nella legislazione interna di ciascuno degli Stati contraenti. Nelle ipotesi in cui le normative interne degli Stati contraenti entrino in conflitto, qualificando entrambe una persona come residente ai fini fiscali nel rispettivo Stato, trova applicazione il successivo paragrafo 2, il quale prevede
che il caso concreto debba essere risolto mediante l’applicazione di specifiche regole (le richiamate “tie breaker rules”), che consentono di attribuire la residenza ad uno solo dei due Paesi.
In particolare, le regole convenzionali fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, secondo una sequenza gerarchicamente ordinata:
il centro degli interessi vitali,
il soggiorno abituale, e
la nazionalità del contribuente.
Le novità introdotte dal Decreto possono dar vita a fattispecie inedite di conflitto sulla residenza, che richiederanno di essere risolte mediante l’applicazione delle “tie breaker rules”: un caso che viene in rilievo è quello dei lavoratori dipendenti residenti in uno Stato confinante con l’Italia, che quotidianamente varcano la frontiera tra i due Paesi per venire a svolgere la propria attività lavorativa nel nostro Stato. In base al nuovo criterio della presenza fisica – per la cui configurazione rilevano anche le frazioni di giorno – è possibile che tali soggetti, essendo spesso presenti in Italia nella maggior parte dei giorni dell’anno (anche se solo per una frazione degli stessi), finiscano col radicare la loro residenza fiscale nel nostro Stato ai sensi dell’art. 2, comma 2 del Tuir. In una tale ipotesi l’autorità fiscale chiarisce che, qualora i lavoratori in discorso dovessero qualificarsi come fiscalmente residenti anche nello Stato di
provenienza ai sensi della relativa normativa interna, il conflitto di residenza con l’Italia potrà essere risolto facendo applicazione delle citate “tie breaker rules” contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dal nostro Stato. Ciò vale anche nelle ipotesi in cui la Convenzione contro le doppie
imposizioni in essere tra l’Italia e lo Stato di provenienza del lavoratore non regolamenti espressamente la tassazione del lavoro dei c.d. frontalieri (come avviene ad esempio per la Convenzione contro le doppie
imposizioni tra Italia e Slovenia23). Le “tie breaker” rules possono essere utilizzate anche per dirimere i conflitti di residenza derivanti dall’applicazione della presunzione legale relativa concernente i soggetti iscritti nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta; ciò, però, sempre che sussista una attribuzione simultanea della residenza fiscale alla medesima persona sia in
base alla normativa italiana, sia in base alla normativa interna di uno Stato con cui l’Italia ha in essere una Convenzione contro le doppie imposizioni. La prevalenza dei criteri convenzionali sul dato formale dell’iscrizione anagrafica, peraltro, era già riconosciuta in vigenza della precedente formulazione dell’art. 2, comma 2 del Tuir, nonostante l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente avesse carattere di presunzione assoluta. L’Agenzia delle Entrate rileva altresì che le Convenzioni che l’Italia ha in vigore con Germania, Svizzera e Panama prevedono un frazionamento del periodo d’imposta ai fini dell’attribuzione della residenza (c.d. “split year clause”): tali Convenzioni26 recano una disposizione che prevede
esplicitamente, per la soluzione dei casi di doppia residenza, il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento del domicilio da uno Stato all’altro nel corso dell’anno. Più in particolare, in base alle disposizioni convenzionali contenute nei citati Trattati, la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro cessa di essere fiscalmente residente nel primo Stato contraente a partire dal giorno successivo a quello del trasferimento.