Come è noto, la definizione di colpa non è contenuta nel codice civile ma all’art. 43 del codice penale, che si esprime in termini di evento che, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In diritto civile, se vi è una sicura tradizione in relazione alla culpa aquiliana (artt. 2043 e ss. c.c.), non vi è una sicura nozione di colpa nel diritto delle obbligazioni e dei contratti. Nell’adempimento delle obbligazioni, la norma cardine è rappresentata dall’art. 1176 c.c., secondo il quale “Nell’adempimento delle obbligazioni il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. La diligenza del buon padre di famiglia, da intendersi come “ciò che in una determinata situazione, secondo una retta coscienza sociale, può essere preteso da un ‘buon’ debitore di quel tipo di obbligazione”, è stata tradizionalmente collegata alla colpa lieve, nel senso che chi non osserva la diligenza del buon padre di famiglia deve considerarsi in colpa lieve. La diligenza del buon padre di famiglia non tiene conto dello sforzo, dell’impegno e della cura che il singolo debitore, in concreto, è in grado di assicurare, avuto riguardo alle sue capacità e alle circostanze del caso, ma allo sforzo e all’impegno che è ragionevole attendersi da quell’astratto debitore che orienti la propria azione secondo il modello del “buon padre di famiglia”. Ciò perché vi è l’esigenza che ciascun soggetto, nell’attuale mondo dei rapporti di scambio, in cui è estremamente difficile tener conto delle concrete condizioni in cui possa venirsi a trovare un determinato debitore, possa fare affidamento sul fatto che ogni debitore impegnerà, nell’adempimento dell’obbligo, uno sforzo corrispondente ad un certo standard in relazione al tipo di rapporto.

Chi invece non osserva la cd. nimia diligentia, identificata nel non intelligere quod omnes intelligunt, è da considerarsi in colpa grave (culpa lata). In altre parole, si ha colpa grave in ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza, quella del cd. quidam de populo, dell’uomo qualunque, senza alcuna prerogativa o qualità specifica. È invece da considerarsi tramontata la figura della colpa cd. levissima, che aveva riguardo alla diligenza della persona scrupolosissima.

Spesso nel codice della crisi il legislatore richiama la meritevolezza   non può accedere alla procedura disciplinata in questa sezione se […] ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”), mentre è da considerarsi in colpa grave il debitore che abbia determinato il sovraindebitamento violando quel minimo grado di diligenza richiesto all’uomo qualunque, senza alcuna prerogativa o qualità specifica, che non può non rendersi conto che, adottando quel comportamento, non sarebbe stato più in grado di adempiere, la mala fede è assimilabile al dolo e si ha quando il soggetto, pur prevedendo come certo il mancato soddisfacimento dell’interesse creditorio, abbia comunque deciso di tenere quel comportamento che abbia portato a tale mancato soddisfacimento. La frode, invece, è predicabile quando si sia in presenza di atti e comportamenti dolosi idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, e, in particolare, il sovraindebitamento può dirsi determinato da frode nel caso in cui il debitore si sia privato di beni mobili o immobili a danno dei creditori. Si pensi al caso in cui il debitore abbia alienato la casa dove abita e pertanto debba poi pagare un canone di locazione con conseguente sovraindebitamento o abbia venduto un bene immobile da cui percepiva un canone o una rendita, a maggior ragione se a prezzo inferiore a quello di mercato.

– A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano

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