Le società fuse od incorporate non di rado portano in dote riserve in sospensione d’imposta 1 che devono essere adeguatamente trattate, per evitare penalizzazioni impositive a dispetto della neutralità fiscale delineata dall’art.172 del T.u.i.r., Dpr n.917/1986, per le operazioni non “realizzative”, di mera riorganizzazione societaria. Esempio tipico di tali riserve sospese è costituito da quelle di rivalutazione monetaria del valore dei beni aziendali, le quali segnalano
l’aumento patrimoniale iscritto in bilancio correlato al plusvalore latente di beni sino ad allora appostati al costo storico. Diversa è la fattispecie dei c.d. “fondi tassati” iscritti nel passivo di bilancio ante fusione, ma non nel patrimonio netto, costituiti da accantonamenti fiscalmente indeducibili e, per questo, dal punto di vista meramente tributario, “liberi”. La società post- fusione potrà beneficiare fiscalmente della rivalutazione dei beni dell’attivo effettuata attraverso l’utilizzo del disavanzo correlato a tali fondi ricostruiti nel bilancio post fusione. I saldi attivi di rivalutazione iscritti restano in sospensione d’imposta e non possono essere
utilizzati per la distribuzione ai soci pena la loro tassazione ordinaria, tranne ché la società decida di affrancarli versando un’ulteriore imposta sostitutiva generalmente prevista dalle norme “speciali”. Caduto a pagamento il vincolo fiscale, tale posta patrimoniale potrà essere liberamente distribuibile come una qualunque “riserva tassata” e non dovrà sottostare alle particolari cautele previste dal quinto comma dell’art.172 del T.u.i.r. per assicurare una sostanziale neutralità fiscale nel caso di fusione. La casistica delle poste del patrimonio netto di origine economica sottratte a tassazione è varia, ma con alcune caratteristiche comuni che vanno analizzate alla luce dell’operazione di fusione. Da una parte, in capo alle società ante fusione, la sospensione di tali riserve ha l’intento di perseguire il rafforzamento del valore corrente del patrimonio netto aziendale correlata ai proventi a cui si riferiscono. Ulteriormente, vengono perseguiti obiettivi di politica
economica volti a premiare alcuni tipi di operazioni o settori produttivi o finanziari, fintantoché i plusvalori o gli utili permangono nel circuito d’impresa e/o non sono distribuiti ai soci 2 . Dall’altra parte, la loro riproposizione nel bilancio post-fusione (o la traslazione del loro vincolo) serve ad assicurare una sistematica neutralità d’imposta delle operazioni straordinarie di riorganizzazione societaria, per come regolato dal comma quinto del citato art.172, fino a ché le riserve che rappresentano i plusvalori sospesi dei beni di primo grado (cioè dell’attivo

1 La cui natura fiscale è stata delineata dalla Circolare del Ministero delle Finanzen.310/E del 4 dicembre 1995 che le ritiene poste ideali del netto, per le quali l’imposizione è rinviata al momento in cui ne avviene la distribuzione o al verificarsi dei presupposti che determinano la fine del regime di sospensione. 2 Per la disamina dei casi in cui, nel regime di tassazione “per trasparenza”, le esenzioni previste per le società si possono invece indirettamente traslate ai soci, cfr. F. Marrone, Limitazione degli effetti distorsivi della tassazione per trasparenza, in “il fisco”, n.46/2013, pagg. 7101 e ss.

netto di bilancio) o gli accantonamenti di proventi o utili non tassati permangono nel patrimonio netto anche della società post fusione, nei limiti (se capienti) dell’importo dell’avanzo di fusione o, secondariamente, del rimanente patrimonio netto post fusione 3 . Nello specifico caso delle riserve in sospensione d’imposta “solo se non distribuite”, la neutralità fiscale è assicurata però nei limiti dell’importo dell’eventuale avanzo di fusione o dell’aumento del capitale superiore alla somma dei capitali sociali delle partecipanti alla fusione 4 . Se tali grandezze risultassero insufficienti e, dunque, emergesse un disavanzo di fusione, la (ideale) riserva sospesa sarebbe ritenuta libera da vincolo e le citate poste del
netto post fusione potranno essere distribuite senza aggravio per la società. Se, invece, tali valori trovassero capienza e venissero ricostruiti, anzi vincolati all’avanzo o al maggior aumento di capitale, non si potrebbe poi procedere alla loro distribuzione se non con la loro tassazione in capo anche alla società.

3 D’altro canto, l’art.172 del T.u.i.r. cerca di preservare la simmetria fiscale tra i valori fiscalmente riconosciuti dei beni d’impresa di primo grado, quindi del patrimonio delle società fuse o incorporate, con i beni di secondo grado che li rappresentano e cioè il costo fiscale, in capo alle società partecipanti alla fusione, delle relative partecipazioni. Sul concetto di costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, cfr. F. Marrone, “Costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni e tassazione di capital gains e di somme ripartite ai soci”, in “il fisco”, n.15/2013, pagg. 2220 e ss.. 4 Al netto, comunque, delle quote del capitale sociale di ciascuna società possedute dalla stessa società o dalle altre partecipanti alla fusione.

Prof. Dott. Francesco Marrone

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