Studiare le lingue semplicemente per il piacere di usarle quando si viaggia. Un po’ per lavoro, un po’ per motivi personali – afferma Emanuele Marini, cinquantenne di Cogliate in provincia di Monza e della Brianza, poliglotta, praticando almeno trenta lingue. Marini sa effettivamente parlare la lingua locale di una buona metà d’Europa ed in modo specifico di svariati paesi orientali. Lo studio per le lingue è avvenuto “per diletto” mentre si laureava in Filosofia, poi in Legge e in Teologia, collaborando con il Consiglio delle Conferenze episcopali europee, il Consiglio d’Europa di Strasburgo e uno legale oltre che con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Tuttavia alla luce di una rete di esperti del settore, chiarisce subito: “Non ci sono più misurazioni ufficiali, dopo il Covid, paradossalmente ci siamo un po’ persi di vista e non riusciamo più a tenere i contatti nella rete dei poliglotti e così non c’è più il gusto per la sfida che c’era prima, anche perché adesso con i traduttori simultanei dell’intelligenza artificiale è venuta un po’ meno questa esigenza”.
Facciamo un passo indietro…
Egli, a diciott’anni, trovandosi in Polonia per la prima volta per raggiungere alcuni amici senza conoscere una parola della lingua, l’ha imparata perfettamente in tre settimane.
Negli ultimi trent’anni ha acquisito un habitus mentale ed esperienziale, tale da ingenerare un metodo naturale di acquisizione e pratica linguistica, interagendo direttamente con i paesi di cui ha imparato i meccanismi linguistici.
È stato interessante ascoltare la sua testimonianza venerdì 23 febbraio durante la trasmissione Caro Marziano, intervistato da Pif; attivando una profonda “meta-riflessione” sul valore delle lingue, delle culture e della Persona connessa ed interagente in ogni contesto quotidiano di vita.
Ascoltare come per tanti popoli sia un segno di rispetto ascoltare che un turista si cimenti nella lingua del posto per comunicare – pur conoscendo pochissime parole – ci può portare a riflettere sul valore che le parole e quindi la lingua assuma (o dovrebbe assumere) per ogni popolo, proseguendo con la necessità di attribuire più valore alla propria lingua, conoscendola, studiandola e amandola molto di più.
Da un dialogo interculturale, testimonianza dell’uso versatile delle qualità plastiche della mente, si giunge ad una constatazione imprescindibile o forse ad un interrogativo, che ci chiama tutti in causa: Perché non iniziare a conoscere, amare e fare esperienza concreta della nostra lingua, per poi applicare la stessa motivazione, volizione e intelligenza nell’apprendere e studiare più lingue?
Se corrisponde al vero che le parole sono veicolo di conoscenza di sé stessi, dell’altro e che la loro più ampia conoscenza sia una modalità imprescindibile per rendere efficace qualsiasi tipologia di comunicazione, bisognerebbe forse porre più attenzione al codice di parole che dà forma e sostanza alla nostra lingua.
Come per ogni condivisione seriamente meditata, occorre precisare come sia, a mio avviso, essenziale acquisire un atteggiamento consapevole, interattivo e qualitativamente solido verso la propria lingua madre, per poi attivare la stessa intraprendenza e consistenza metodologica nello studio e nella pratica di tante lingue, che chiamiamo L2 (di seconda acquisizione), ampliando il campo senza scindere il valore culturale che ciascuna riveste.
Con il contributo di Prof. Pasquale Antonio